LUDOVICO ARIOSTO. LA FAVOLA DELLA LUNA. BRANI SCELTI. ... . ... FONDAZIONE "EZIO GALIANO" onlus. BIBLIOTECA TELEMATICA PER NON VEDENTI. "Regala un libro ad un cieco". PROGETTO: ANTOLOGIA ELETTRONICA DELLA LETTERATURA ITALIANA. ... . ... Trascrizione elettronica rivista e resa disponibile dalla Fondazione Ezio Galiano onlus http:\\www.galiano.it ad esclusivo uso dei privi della vista. ... . ... Prefazione. di: Ezio Galiano. . In questa edizione ho voluto raccogliere quattro brani, cari al mio cuore, che forse più di altri offrono una panoramica vasta, ma di certo non esaustiva, della vis poetica dell'Ariosto nelle sue forme più note. . Nel primo di essi: "Chiuso era il sol..." vi è forse racchiusa l'essenza stessa dell'animo d'ogni poeta d'ogni tempo: l'osservazione estatica della Natura, potente, dolcissima, sublime nel suo essenziale, che solo la migliore poesia può esprimere. . Occhi miei belli, il secondo brano proposto, è una icona immancabile nel tratteggiare la poetica dell'Ariosto: il tema dell'amore a lui sì caro, imprescindibile e sovrano in ogni sua azione, ispiratore primo della produzione poetica e delle scelte operate nel vissuto personale. . Per terza, la Satira indirizzata ai Messeri suoi pari, ove si manifesta fra il serio ed il faceto, l'uomo che ha da sbarcare il suo lunario, che si giustifica, adducendo scuse che inducono al sorriso, per non aver seguito il suo signore, il Cardinale Ippolito, nella fredda Ungheria. . Ed infine, il meraviglioso brano che dà titolo a questa mia piccola raccolta: La favola della luna. Qui vi è il pratico filosofo che rinuncia ben volentieri alla gloria effimera che altri ansiosamente perseguita, ben sapendo che a nulla vale l'affannarsi verso le alte vette, che niente racchiudono se non il compimento di un destino non certo migliore, non scevro da affanni e cure, rispetto a chi più in basso opera e fa propria dimora, restandosi tutto da decidere quale sia, invero, il basso o l'alto in questa esperienza terrena. . Di ciò, dimostrazione chiara la sua vita: la sua rinunzia ad un oscuro posto di secondo piano, peraltro tutto da conquistare per mezzo di svilenti colpi bassi, nell'agone politico della piccola Ferrara, per scegliere la quiete domestica e gli affetti, producendosi nel contempo, con il proprio immaginario, tal gloria al suo nome che ancora sfavilla dopo secoli. . Quattro brillanti sfaccettature, insomma, del variegato mondo di luci, ombre, fantastiche, fantasmagoriche fantasie dell'ardito sognatore senza limiti, capace di involar il suo Ippogrifo sulla luna, al tempo in cui Colombo pensava ancora di aver posto piede nelle Indie. . Ezio Galiano. ... . ... Breve Biografia. . LUDOVICO ARIOSTO nacque l'8 settembre 1474 a Reggio Emilia da Niccolò Ariosto, capitano della cittadella, e da Daria Malaguzzi. . A tredici anni si stabilì con la famiglia a Ferrara dove intraprese gli studi di legge; ma più tardi, vista la scarsa disposizione per essi, venne affidato al dotto umanista Gregorio da Spoleto, e si dedicò alla letteratura, frequentando gli umanisti della Corte estense. Nel 1500 morto il padre, rimase al giovane Ludovico, primogenito di dieci figli, la cura dell'intera famiglia. . Così dovette procurarsi un impiego. Per un anno fu capitano della rocca di Canossa; nell'ottobre del 1503 entrò al servizio del cardinale Ippolito d'Este, fratello del duca di Ferrara Alfonso primo; il quale si valse dell'ingegno dell'Ariosto inviandolo in ambasciate in Toscana, in Lombardia, e a Roma presso i pontefici Giulio secondo e Leone Decimo. . Nonostante queste mansioni, ed altre assai più gravose, l'Ariosto non smise di pensare al suo poema, l'Orlando furioso, iniziato nel 1504 e lentamente ne proseguì la composizione che, si può dire, durò tutta la vita. Una prima edizione di quaranta canti uscì, a spese del cardinale a cui era dedicato, nel 1516. Ma di essa l'autore si ritenne insoddisfatto. . L'anno dopo, il cardinale Ippolito, non avendolo l'Ariosto voluto seguire a Budapest, dove egli era stato nominato arcivescovo, lo licenziò. Gli venne in aiuto in questa dura circostanza il duca Alfonso, accogliendolo tra i suoi familiari, e nominandolo qualche anno dopo Governatore della Garfagnana, selvaggia regione appenninica infestata dai briganti. . Conclusa questa missione, durata tre anni, e descritta in famose Lettere ufficiali, il poeta tornò a Ferrara, comprò una piccola casa e vi passò il resto dei suoi giorni in tranquillità, con la sua compagna, Alessandra Benucci, e il figlio Virginio. Il poema fu infine pubblicato in edizione definitiva nel 1532, con l'aggiunta di nuovi episodi e di sei canti. Morì il 6 luglio 1533. . Ricordiamo altre opere dell'Ariosto: sette Satire in terzine, una prosa, L'Erbolato, le Lettere e scritti latini, e cinque commedie: La Cassaria, I Suppositi, La Lena, Il Negromante e Gli Studenti (quest'ultima condotta a termine dal fratello Gabriele e dal figlio Virginio sotto il titolo di Scolastica). . Niente tuttavia rivela il carattere e le aspirazioni dell'Ariosto meglio del suo capolavoro: l'Orlando Furioso. . La critica ha molto insistito sul ritratto dell'Ariosto "uomo tranquillo", senza vocazione per l'azione, spinto suo malgrado a diventare uomo politico, ma in realtà il quadro esige di essere sfumato: se da un lato, in lui c'è, indubbiamente, l'aspirazione a una vita sedentaria, raccolta, quieta, lontana dai travagli del tempo, confortata e risolta nell'assaporamento della poesia; dall'altro lato occorre riconoscere l'accettazione consapevole e cosciente del proprio impegno nella vita pratica, dell'attività di diplomatico e di governatore abbandonato spesso in situazioni difficilissime. . Gli Estensi conoscevano i loro uomini e le loro capacità, e se affidarono all'Ariosto missioni di un certo rilievo, bisogna ammettere nel poeta una notevole attitudine all'azione. Questa compresenza di un Ariosto "attivo" e di un Ariosto "contemplativo" non significa d'altra parte una antitesi insanabile. La politica infatti per l'Ariosto non costituisce, come rappresenta invece per Machiavelli, una dimensione primaria ed esaustiva, ma un aspetto soltanto della più vasta e ricca esistenza umana. Sicché passare dalla prassi alla poesia significa per l'Ariosto semplicemente questo: l'ascesa a un livello superiore di esistenza che comprende e pur travalica il momento dell'impegno nell'attualità. ... . ... ... . ... 1. . Chiuso era il sol... . Chiuso era il sol da un tenebroso velo che si stendea fin all'estreme sponde de l'orizonte, e murmurar le fronde e tuoni andar s'udian scorrendo il cielo; . di pioggia in dubbio o tempestoso gelo stav'io per ire oltra le torbid'onde del fiume altier che il gran sepolcro asconde del figlio audace del signor di Delo; . quando apparir su l'altra ripa il lume de' bei vostri occhi vidi, e udii parole che Leandro potean farmi quel giorno. . E tutto a un tempo i nuvoli d'intorno si dileguaro e si scoperse il sole; tacquero i venti e tranquillossi il fiume. ... . ... 2. . Occhi miei belli... da: Le Rime. . Occhi miei belli, mentre che i' vi miro, per dolcezza inefabil che io ne sento, vola, come falcon che ha seco il vento, la memoria da me d'ogni martiro; . e tosto che da voi le luci giro amaricato resto in tal tormento che, s'ebbi mai piacer, non lo ramento: ne va il ricordo col primier sospiro. . Non sarei di vedervi già sì vago s'io sentissi giovar, come la vista, l'aver di voi nel cor sempre l'imago. . Invidia è ben se il guardar mio vi attrista; e tanto più che quello ond'io m'appago nulla a voi perde ed a me tanto acquista. ... . ... 3. . A Messer Alessandro Ariosto et a Messer Ludovico Da Bagno. da: Le Lettere. . Io desidero intendere da voi, Alessandro fratel, compar mio Bagno, s'in corte è ricordanza più di noi; . se più il signor me accusa; se compagno per me si lieva e dice la cagione per che, partendo gli altri, io qui rimagno; . o, tutti dotti ne la adulazione l'arte che più tra noi si studia e cole l'aiutate a biasmarme oltra ragione. . Pazzo chi al suo signor contradir vole, se ben dicesse che ha veduto il giorno pieno di stelle e a mezzanotte il sole. . O che egli lodi, o voglia altrui far scorno, di varie voci subito un concento s'ode accordar di quanti n'ha d'intorno; . e chi non ha per umiltà ardimento la bocca aprir, con tutto il viso applaude e par che voglia dir: anch'io consento! . Ma se in altro biasmarme, almen dar laude dovete che, volendo io rimanere, lo dissi a viso aperto e non con fraude. . Dissi molte ragioni, e tutte vere, de le quali per sé sola ciascuna esser mi dovea degna di tenere. . Prima la vita, a cui poche o nessuna cosa ho da preferir, che far più breve non voglio che il ciel voglia o la Fortuna. . Ogni alterazione, ancor che leve che avesse il mal che io sento, o ne morei, o il Valentino e il Postumo errar deve. . Oltra che il dìcan essi, io meglio i miei casi de ogni altro intendo; e quai compensi mi siano utili so, so quai son rei. . So mia natura come mal conviensi co' freddi verni; e costà sotto il polo gli avete voi più che in Italia intensi. . E non mi nocerebbe il freddo solo; ma il caldo de le stuffe, che ho sì infesto, che più che da la peste me gli involo. . Né il verno altrove s'abita in cotesto paese: vi si mangia, giuoca e bee, e vi si dorme e vi si fa anco il resto. . Che quindi vien, come sorbir si dee l'aria che tien sempre in travaglio il fiato de le montagne prossime Rifee? . Dal vapor che, dal stomaco elevato, fa catarro alla testa e cala al petto, mi rimarei una notte soffocato. . E il vin fumoso, a me vie più interdetto che il tosco, costì a inviti si tracanna, e sacrilegio è non ber molto e schietto. . Tutti li cibi son con pepe e canna di amomo e d'altri aromati, che tutti come nocivi il medico mi danna. . Qui mi potreste dir che io avrei ridutti, dove sotto il camin sedrìa al foco, né piei, né ascelle odorerei, né rutti; . e le vivande condiriemi il cuoco come io volessi, et inacquarmi il vino potre' a mia posta, e nulla berne o poco. . Dunque voi altri insieme, io dal matino alla sera starei solo alla cella, solo alla mensa come un certosino? . Bisognerìeno pentole e vasella da cucina e da camera, e dotarme di masserizie qual sposa novella. . Se separatamente cucinarne vorà mastro Pasino una o due volte, quattro e sei mi farà il viso da l'arme. . S'io vorò de le cose che avrà tolte Francesco di Siver per la famiglia, potrò matina e sera averne molte. . S'io dirò: «Spenditor, questo mi piglia, che l'umido cervel poco notrisce; questo no, che il catar troppo assottiglia» . per una volta o due che me ubidisce, quattro e sei mi si scorda, o, perché teme che non gli sia accettato, non ardisce. . Io mi riduco al pane; e quindi freme la colera; cagion che alli dui motti gli amici et io siamo a contesa insieme. . Mi potreste anco dir: «De li tuoi scotti fa che il tuo fante comprator ti sia; mangia i tuoi polli alli tua alari cotti". . Io, per la mala servitude mia, non ho dal Cardinale ancora tanto che io possa fare in corte l'osteria. . Apollo, tua mercé, tua mercé, santo collegio de le Muse, io non possiedo tanto per voi, che io possa farmi un manto. . «Oh! il signor t'ha dato...» io ve il conciedo, tanto che fatto m'ho più d'un mantello ma che m'abbia per voi dato non credo. . Egli l'ha detto: io dirlo a questo e a quello voglio anco, e i versi miei posso a mia posta mandare al Culiséo per lo sugello. . Non vuol che laude sua da me composta per opra degna di mercé si pona di mercé degno è I'ir correndo in posta. . A chi nel Barco e in villa il segue, dona, a chi lo veste e spoglia, o pona i fiaschi nel pozzo per la sera in fresco a nona; . vegghi la notte, in sin che i Bergamaschi se levino a far chiodi, sì che spesso col torchio in mano addormentato caschi. . S'io l'ho con laude ne' miei versi messo, dice che io l'ho fatto a piacere e in ocio più grato fòra essergli stato appresso. . E se in cancellarìa m'ha fatto socio a Melan del Constabil, sì che ho il terzo di quel che al notaio vien d'ogni negocio . gli è perché alcuna volta io sprono e sferzo mutando bestie e guide, e corro in fretta per monti e balze, e con la morte scherzo. . Fa a mio senno, Maron: tuoi versi getta con la lira in un cesso, e una arte impara, se beneficii vuoi, che sia più accetta. . Ma tosto che n'hai, pensa che la cara tua libertà non meno abbi perduta che se giocata te l'avessi a zara; . e che mai più, se ben alla canuta età vivi e viva egli di Nestorre, questa condizion non ti si muta. . E se disegni mai tal nodo sciorre, buon patto avrai, se con amore e pace quel che t'ha dato si vorà ritorre. . A me, per esser stato contumace di non voler Agria veder né Buda, che si ritoglia il suo sì non mi spiace . (se ben le miglior penne che avea in muda rimesse, e tute, mi tarpasse): come che da l'amor e grazia sua mi escluda, . che senza fede e senza amor mi nome e che dimostri con parole e cenni che in odio e che in dispetto abbia il mio nome. . E questo fu cagion che io me ritenni di non gli comparire inanzi mai, dal dì che indarno ad escusar mi vienni. ... . ... 4. . La favola della luna. da: Le Satire. Satira Terza, stanze dalla 208 alla 231. . Nel tempo che era nuovo il mondo ancora, che inesperta era la gente prima, e non eran l'astuzie che sono ora: . a pie' d'un alto monte, la cui cima parea toccasse il cielo, un popol, quale non so mostrar, vivea nella valle ima; . che più volte osservando la ineguale luna, or con corna or senza, or piena or scema, girar il cielo al corso naturale; . e credendo poter dalla suprema parte del monte giungervi, e vederla come si accresca e come in sé si prema; . chi con canestro, chi con sacco per la montagna, cominciar correre in su, ingordi tutti a gara di volerla. . Vedendo poi non esser giunti più vicini a lei, cadèano a terra lassi bramando invan d'essere rimasti giù. . Quei che alti li vedean dai poggi bassi, credendo che toccassero la luna, dietro venian con frettolosi passi. . Questo monte è la ruota di Fortuna nella cui cima il volgo ignaro pensa che ogni quiete sia, né ve n'è alcuna. ... . ... FINE.